Nemi: lo specchio di Diana

C’è un piccolo lago a sud di Roma, quasi al centro dei Colli Albani, il lago di Nemi che gli antichi chiamavano lo specchio di Diana. Circondato da un bosco sacro, era il centro religioso delle città del Lazio che si erano unite nella Lega latina per fronteggiare i nemici esterni, intorno alla metà del VI secolo a.C. Le sponde di questo lago sono state nei secoli la scena di molte lotte di potere, quasi le sue acque racchiudessero un grande mistero esoterico che poteva conferire potere spirituale e al contempo temporale.

Due miti pressoché incomprensibili fanno affiorare il lago dando inizio alla sua storia. Li riporta James G. Frazer nel suo poderoso libro “Il ramo d’oro”, scritto nel 1911, il quale partendo da essi mette in collegamento tutti i miti primitivi arrivando a delineare un mondo dell’inconscio.
Il santuario della dea Diana era custodito da un re del bosco, il rex nemorensis, che era al contempo un sacerdote e un assassino, perché poteva aspirare a quell’ufficio soltanto chi avesse ucciso il suo predecessore. Infatti il re doveva difendere giorno e notte il tempio della dea, aggirandolo armato, e custodire una quercia su cui cresceva un ramo d’oro. Chi fosse riuscito a strapparlo, avrebbe preso il suo posto. Nel cuore della dea, aggiungo io. Perché il lago è stato certamente lo specchio dell’amore di Diana e Virbio. Un amore dove era la donna, una dea, a dettare le regole. Una donna che veniva rispettata perché il re non si permetteva di entrare nel tempio e prendere il suo posto nel cuore dei fedeli.

La prima e più antica divinità mediterranea è stata femminile. Il simulacro di Diana (la greca Artemide) – narra un mito – venne portato in Italia da Oreste che fuggiva dalla Tauride dove il suo culto richiedeva sacrifici umani. Ma il secondo mito dice che fu Ippolito, riportato in vita da Artemide (il quale era stato ucciso dal dio Poseidone, su preghiera del padre Teseo, a causa di una falsa accusa mossagli dalla matrigna Fedra) ad essere il primo re del bosco e venne chiamato Virbio, virbis: uomo due volte. Forse perché era stato resuscitato o perché era rinato come lo voleva la dea.
Ma il ramo d’oro che c’entra? Il ramo d’oro era il vischio. E Diana era una divinità tutelare dei boschi e pure della fertilità. Nemi deve essere stato un sanatorio miracoloso dove il vischio era considerato preziosissimo per le cure dei tumori femminili e maschili (ancora oggi viene utilizzato nella medicina steineriana).

Questo in sintesi, ma c’è molto di più nel migliaio di pagine di Frazer. Fatto sta che il luogo continuò ad essere venerato dai re di Roma e poi dagli imperatori. Caligola ancorò al centro del lago due isole galleggianti, una barca di 64 e una di 71 metri, che sostenevano un tempio e un palazzo, dove la notte venivano celebrati i riti esoterici di Iside e di Diana, che aveva accumunate nella medesima divinità. Ma il Senato romano che mal vedeva l’affermarsi di questo culto femminile, per giunta egizio, eliminò Caligola e fece affondare le navi.
Ad Aquileia, quarta città dell’Impero romano, al fianco della basilica si è tenuta nei giorni scorsi una rassegna di film archeologici, organizzata dalla rivista Archeologia Viva e presentata dalla bella e brava giornalista Giulia Pruneti, che ho conosciuto qualche anno fa. Tra i film c’era “Nemi il mistero sommerso del lago” girato da Massimo My. Ovviamente mi sono precipitata. Le navi di Caligola furono recuperate nel 1927 attraverso lo svuotamento del lago a cui lo stesso Mussolini presenziò, come si vede nel filmato. Se ne possono trovare i disegni su internet, perché purtroppo i tedeschi bombardarono il museo, dove erano custodite, nel 1944. Ma già nel Medioevo si era tentato il recupero delle navi, ammantate di fascinazione esoterica.

Nel 1991 andai a Nemi, seguendo le orme tracciate dal libro di Fraser, per seguire un convegno con relatori illustri, quali Elemire Zolla, organizzato da Marina Maymone Siniscalchi, la quale sostenne che “gli archetipi e i miti di valore universale e la componente iniziatica ed esoterica ad essi legata, riducono le distanze, compongono le differenze e costituiscono il tessuto connettivo di culture diverse”. Lo stesso fine ricercato dai templari, i quali veneravano la Madonna Nera, l’Iside degli egizi e poi degli arabi, e per tutti la medesima: Sophia, la conoscenza.